L’impegno dei laici per un’equa distribuzione delle risorse della terra

 

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Stando ai dettami del Concilio Vaticano II, “Tutto ciò che riguarda l’uomo, non può non interessare alla Chiesa.

 

È proprio partendo da questo presupposto, credo, che il MIEAC (Movimento d’impegno educativo di Azione Cattolica) della Diocesi di Pozzuoli, d'intesa con l'Ordine Francescano secolare di Napoli hanno voluto intraprendere un cammino di riflessione, nell’ambito della Dottrina sociale della chiesa, intorno ai vari aspetti legati al tema odierno:L’impegno dei laici per un’equa distribuzione delle risorse della terra”.

 

Come giurista ed avvocato mi pongo razionalmente di fronte al complesso delle “regole” di vita e di condotta imposte dalla legge cercando di analizzarne le implicazioni e le conseguenze attraverso il filtro storico-evolutivo e comparando, quando possibile, le esperienze di altri Paesi.

In particolare, di fronte ai processi d’integrazione globale del mercato e della comunicazione, emerge, nel dibattito tra i giuristi, la riflessione sui “diritti fondamentali” nelle democrazie pluraliste, che per i costituzionalisti è oggetto di studio nella prospettiva della realizzazione di un “cosmopolitismo costituzionale”, che, invero, sembrerebbe apparentemente in contrasto con le categorie dei “diritti di cittadinanza”.

 

In altri termini, il problema dell’individuazione e della tutela dei diritti è intimamente connesso con i valori che ciascun ordinamento democratico pone quale fondamento di sé e della propria legittimazione, sebbene poi la connessione tra democrazia e diritti non sia così diversa da quella tra democrazia ed eguaglianza.

 

Occupandomi di diritto amministrativo e dell’ambiente, nonché di Politica Tributaria, mi sono ben chiari i diritti ed i doveri del cittadino nelle sue relazioni sociali, ma anche – e direi principalmente – quelli della Pubblica amministrazione nei confronti dei cittadini, da porre su di un piano paritario, e non più di “ossequiosa sudditanza”.

 

Più in generale, e venendo al tema che ci occupa, risulta in tutta evidenza che, all’inizio del terzo millennio, il nostro Pianeta è percorso: da un accresciuto divario fra i paesi ricchi, sempre più ricchi, e quelli poveri, sempre più poveri; dalle difficoltà di accesso alle risorse; dalle ingiustizie a livello economico, sociale e politico; da una globalizzazione funzionale al mantenimento degli attuali squilibri per assicurare il benessere ad una sola parte della popolazione mondiale, anche a costo del degrado ambientale e della negazione dei valori e dei principi fondamentali che devono regolare la convivenza umana.

 

Le situazioni di grave emergenza non cessano di moltiplicarsi. Alle catastrofi naturali si sommano, con sempre maggiore intensità, guerre e conflitti interni ed internazionali che colpiscono prevalentemente le popolazioni civili. Intere popolazioni sono esposte a gravi sofferenze fisiche e morali:  sono spesso in pericolo di vita e sono private dei diritti fondamentali e dei beni essenziali.

 

Indubbiamente, facciamo parte di una generazione che, grazie ai voli aerei, prima, e ad internet, oggi, ha assistito ad un’accelerazione bruciante della globalizzazione, e ad un impensabile sviluppo dell’economia di mercato e dell’economia globale.

Viviamo in una società, sufficientemente sviluppata, dove si affermano, ormai, i diritti di terza generazione e dove si vive un allargamento della sfera del benessere a miliardi di persone. Si assiste alla continua evoluzione della cosiddetta “società della conoscenza”, e ad una rapidissima diffusione della tecnologia.

 

Per contro, viviamo anche, costantemente, ed in maniera sempre più evidente, il rischio concreto di una catastrofe ambientale, conseguente all’impatto diretto delle attività umane sulla biosfera, con gli effetti dannosi dei cambiamenti climatici ed i rischi di mutazioni irreversibili delle condizioni di vita sulla Terra.

 

Sulla presente generazione si riversano altresì gli effetti negativi della stessa globalizzazione che, anche nell’ambito dell’Unione Europea non hanno ancora trovato una adeguata risposta: dal decantato “benessere”, diffuso a tutta l’umanità, al benessere a misura di mercato; dal comando dello Stato democratico, a quello delle oligarchie economiche; dal lavoro stabile e duraturo, ad un modello di lavoro precario ed a termine; dallo sviluppo dei diritti di cittadinanza tesi a valorizzare ed promuovere la personalità complessiva degli individui, a quello di una massa di individui primariamente caratterizzati dalla loro capacità di accesso al consumo in funzione del livello di reddito raggiunto; in luogo di un’equa distribuzione ed un utilizzo dei beni comuni a tutta l’umanità (acqua, cibo, cure mediche, informazione), assistiamo all’esclusione dei più elementari diritti di intere parti del mondo.

 

Facciamo quindi parte di una generazione che deve saper raccogliere la sfida di una profonda e radicale riforma dei modelli di vita della nostra società e dell’economia, attraverso una larga diffusione del sapere e delle conoscenze, essendo attenti a coniugare le grandi potenzialità offerte dallo sviluppo tecnologico per accrescere il benessere sociale e la qualità della vita, ma anche sapendolo utilizzare per invertire la tendenza all’uso indiscriminato della natura, per far sì che si tenga conto anche dei diritti delle future generazioni a godere degli stessi beni e delle stesse risorse naturali.

 

Certamente, molte delle cause che provocano tensioni e violenze nel mondo possono essere attenuate grazie a serie ed efficaci politiche di sviluppo, sostenute da rapporti economici e commerciali più equi, dal pieno riconoscimento dei diritti e della dignità di ogni essere umano, da una maggiore solidarietà tra paesi ricchi e paesi poveri, da un’equa ripartizione risorse e delle conoscenze scientifiche e tecnologiche.

 

Si discute molto del fenomeno della globalizzazione. Essa si traduce in una interdipendenza reciproca, e, quindi, sotto un certo profilo, in una maggiore “responsabilizzazione” di tutti i popoli dei Paesi sviluppati, a cui non si può sfuggire.

 

Grazie ai nuovi “media”, la maggiore circolazione delle informazioni e la reale conoscenza di tutto quanto accade nel mondo non può certo lasciare indifferenti. È necessario alleviare le sofferenze delle persone vulnerabili, intervenendo in modo sempre più efficace e tempestivo, in un’ottica indirizzata allo sviluppo e, principalmente, all’auto-sviluppo delle popolazioni povere.

 

Un vecchio motto di saggezza orientale dice infatti: “se un contadino ha fame, per povertà o carestia, non dargli un pesce, ... insegnagli a pescare”!

 

È certamente vero, che lo sviluppo di un paese - specie se avviene in maniera equilibrata, diffusa, ed è basato su un’equa distribuzione delle risorse, e sul rispetto della persona e dei diritti-, crea le condizioni sociali per prevenire, affrontare e superare le cicliche crisi (in particolare le siccità e le carestie) che possono manifestarsi, ed attenua, o addirittura annulla, parte delle principali cause dei conflitti.

 

Da oltre un decennio, infatti, due sono le più evidenti caratteristiche che contraddistinguono le relazioni internazionali: 1) conflitti e guerre, come strumento per risolvere le tensioni e ristabilire nuovi equilibri di potere, e 2) il crescente divario tra paesi ricchi e paesi poveri, con sempre maggiore marginalizzazione di questi ultimi e delle loro popolazioni.

 

La fame, la povertà, le malattie endemiche, l’ignoranza, l’esclusione e la negazione dei diritti colpiscono intere popolazioni, togliendo loro ogni speranza e ponendole facilmente in balia di radicalismi estremi.

 

La pace si garantisce con un’equa distribuzione delle risorse, con la salvaguardia della natura che ci circonda, con la pratica dell'amore per il prossimo.

 

Nel quadro attuale la questione della povertà e, più in generale, della differenza delle condizioni di vita (o, come anche si dice nei paesi sviluppati, “la qualità della vita”), emerge in maniera clamorosa dai seguenti dati: su sei miliardi di persone che abitano la Terra circa un sesto non dispone di cibo ed acqua a sufficienza; tre miliardi di persone, cioè la metà dei cittadini del pianeta, si deve accontentare di due dollari di reddito al giorno (circa un euro e cinquanta, al cambio attuale) !  

Detto in altri termini, il 16% della popolazione mondiale detiene l’80% del reddito mentre l’84% della popolazione solo il 20%.

 

Riprendendo un concetto filosofico esistenziale espresso da Eric Fromm, sarebbe però riduttivo affrontare la questione dell’equa distribuzione delle risorse solo in termini di ‘avere’. Infatti, per Fromm, la prevalenza della modalità esistenziale dell'avere ha determinato la situazione dell’uomo contemporaneo, ridotto a ingranaggio della macchina burocratica, manipolato nei gusti, nelle opinioni, nei sentimenti dai governi, dall’industria, dai mass media, costretto a vivere in un ambiente degradato con lo spettro incombente del conflitto nucleare.

Per contro Fromm nel suo saggio, delinea le caratteristiche di un’esistenza incentrata sulla modalità dell’essere, in quanto attività autenticamente produttiva e creativa, che offra all’'individuo ed alla società la possibilità di realizzare un nuovo e più autentico umanesimo: contro la brama del possesso, contro l’avidità del potere, lo spreco, la violenza, s’impone la prospettiva di un diverso atteggiamento verso la natura e la società, basato sull’altruismo e sull’amore.

 

Oggi, peraltro, anche guardando al livello tecnologico raggiunto dalla società contemporanea, l’equa distribuzione delle risorse, e quindi la povertà da combattere, non è solo la indisponibilità di beni materiali, ma anche la impossibilità di realizzarsi come persona: povero è colui che non ha l’opportunità di mettere a frutto i talenti che ha ricevuto, cioè di sviluppare adeguatamente la propria capacità di “essere”.

 

È fondamentale operare affinché sia data a tutti l’opportunità di diventare protagonisti del proprio originale percorso di crescita personale e comunitario, in particolare:

a) individuando i meccanismi che impediscono che le risorse e le opportunità siano più equamente prodotte e distribuite;

b) identificando con esperienze comunitarie e stili di vita rinnovati, modelli di relazione sociale ed economica virtuosi;

c) elaborando le nostre esperienze in proposte politiche per la costruzione di un nuovo quadro di regole e relazioni internazionali.

 

Papa Giovanni Paolo II affermava nella Redemptoris Missio che  Lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla maturazione della mentalità e dei costumi. È l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica.” (Redemptoris Missio, N.58-59).

Proprio considerando che la prima e fondamentale risorsa per lo sviluppo economico è l’uomo stesso, bisogna lottare contro la povertà, attraverso la riduzione del debito internazionale, attraverso gli aiuti economici allo sviluppo, attraverso l’apertura del commercio internazionale; attraverso la lotta alle malattie diffuse, mediante l’accesso per tutti alla medicina di base; attraverso la riduzione del commercio delle armi; attraverso la promozione dei diritti umani e, principalmente, direi, attraverso la promozione dell’istruzione su vasta scala. (Redemptoris Missio, 58)

 

E, ancora, nella Lettera Enciclica Centesimus annus Giovanni Paolo II ha osservato che l’economia di mercato è un modo per rispondere adeguatamente alle necessità economiche delle persone, pur rispettando la loro libera iniziativa, ma che deve essere controllata dalla comunità, dal corpo sociale con il suo bene comune (cfr. Centesimus annus nn. 31 e 58).

 

Bisogna prendere atto, però, che l’economia di mercato si sta sempre più “globalizzando” e che questo fenomeno di “mondializzazione” – come anche viene definito -, è un processo che certo non può essere fermato, ma che, d’altra parte, deve essere certamente “governato”, prestando particolare attenzione alle popolazioni povere, ed assicurando un’equa distribuzione dei beni e delle risorse della terra tra i diversi Paesi e i diversi cittadini, nonché tutelando, allo stesso tempo, gli equilibri della natura.

 

Occorre “orientare” lo sviluppo per poter assicurare, come affermava Giovanni Paolo II nel Suo Messaggio per la pace del 1 gennaio 1998, “una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione”, così da realizzare “un’evidente dovere di giustizia che comporta notevoli implicazioni morali nell’organizzazione della vita economica, sociale, culturale e politica delle Nazioni” (GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la pace del 1 gennaio 1998, 3).

 

Illuminanti sono, in questo senso, le parole pronunciate sempre da Giovanni Paolo II il 27 aprile 2001 ai partecipanti alla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali: “La globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno. La Chiesa continuerà a operare con tutte le persone di buona volontà per garantire che in questo processo vinca l’umanità tutta e non solo un’élite prospera che controlla la scienza, la tecnologia, la comunicazione e le risorse del pianeta a detrimento della stragrande maggioranza dei suoi abitanti. La Chiesa spera veramente che tutti gli elementi creativi nella società cooperino alla promozione di una globalizzazione al servizio di tutta la persona umana e di tutte le persone”.

 

Per far sì che la globalizzazione possa sviluppare le possibilità di crescita e di produzione dei beni e nello stesso tempo assicurare un’equa distribuzione di essi tra i vari paesi e fra i diversi cittadini, è necessario che venga costantemente perseguita l’armonizzazione tra le esigenze dell’economia e quelle dell’etica e della giustizia sociale.

 

In definitiva, la sfida che ci sta di fronte è quella di saper rispondere alle complesse problematiche poste dalla globalizzazione con il “governo” della globalizzazione stessa, in funzione ed a servizio della persona umana, della sua dignità e del suo primato.

 

Naturalmente, come detto, la solidarietà non avviene solo con l’impiego di maggiori risorse economiche, ma puntando su progetti di educazione e formazione come strumento principe di lotta alla povertà; promovendo la vita delle popolazioni insieme con l’ambiente; tutelando la salute delle persone anche attraverso le grandi conquiste che la medicina ha conseguito nei nostri paesi. Lottare contro la povertà non è solo una questione di politiche e di investimenti - certamente indispensabili -, ma al fondo è questione di riconoscere la persona, l’uomo, per quello che è, e di riconoscere tutti gli uomini, qualsiasi uomo, in qualsiasi parte del mondo, per favorirne la liberazione e lo sprigionarsi delle capacità che vanno conseguentemente apprezzate e valorizzate.

 

È ben chiaro, del resto, che non c’è solo la povertà socio-economica. Una povertà ancora più grave è certamente la povertà di valori morali, la povertà di amore, di umanità, di fede e di speranza. E, purtroppo, questa povertà è diffusa sia nei paesi economicamente sottosviluppati (dove spesso prende corpo nelle dittature, nella corruzione delle classi dirigenti, negli sprechi di risorse, nella violazione dei diritti umani fondamentali, nelle guerre locali) sia, e in misura forse maggiore, nei paesi economicamente sviluppati, dove si concretizza nella corsa sfrenata al potere, al profitto, al consumo, al piacere; corsa che nasconde, credo, il vuoto esistenziale.

 

Da questo punto di vista mi domando spesso se la scelta emersa dal Conclave del 2005 nella persona del Cardinale Ratzinger (oggi, Papa Benedetto XVI) portatore di un maggiore “radicalismo cattolico”, non sia stata esattamente voluta, proprio per riaffermare in maniera netta e decisa i principi ed i valori di una fede religiosa di cui oggi, per i motivi anzidetti, si sente maggiormente il bisogno, specie da parte delle giovani generazioni.

 

Un ruolo primario nella formazione dei convincimenti e delle opinioni nonché, di conseguenza, nell’orientamento dei comportamenti sia personali sia collettivi, è stato sempre svolto dai modelli culturali diffusi attraverso la famiglia e la scuola e, oggi, ancor più, dai modelli di comunicazione sociale e di massa.

 

In questi anni è cresciuto l’interesse per il rapporto tra etica ed economia: l’etica deve farsi carico dei grandi processi dello sviluppo economico e dei loro dinamismi interni, che si pongono sempre più su scala mondiale.

Per raggiungere risultati validi e duraturi, l’economia deve promuovere un’organizzazione del lavoro e dei processi di produzione rispondente ai criteri della dignità umana, ed un’equa distribuzione del reddito.

 

L’etica deve contribuire alla formazione di una mentalità più fraterna e solidale, più capace di riconoscere la dignità inviolabile di ogni essere umano, e quindi di sostenere scelte personali e orientamenti economici e politici in sintonia con tali valori.

 

Com’è stato affermato anche nel testo “Evangelizzazione e testimonianza della carità” approvato dalla Conferenza Episcopale Italiana, in ordine alla promozione del bene comune, ancor più dirette sono le responsabilità dei politici e dei pubblici amministratori.

 

È loro richiesto, infatti, di fornire, con la massima trasparenza ed agli occhi di tutti, serie garanzie di competenza, moralità e chiarezza, sapendo anteporre le esigenze del bene comune agli interessi personali o di gruppo.

 

A proposito della vita politica, da lungo tempo viene sollevata la cosiddetta “questione morale”; quest’ultima, però, a ben riflettere, deve necessariamente riferirsi a contesti sempre più ampi del tessuto socio-economico.

 

La questione morale, infatti, pone in primo piano la necessità che coloro i quali, a qualsiasi titolo, hanno responsabilità di guida, in generale, diano testimonianza - anzitutto con la propria vita e con il modo di condurre il proprio ufficio -, di quei valori superiori che stanno a fondamento della convivenza civile. Coinvolge anche – e non come semplice spettatore, ma come protagonista attivo -, ogni singolo cittadino che, con i suoi comportamenti nel lavoro, negli affari, nella vita familiare, ed esercitando i suoi diritti e doveri politici, contribuisce a rendere attuali quei principi socio-economici nonché, in particolare, a rendere concretamente più o meno sano e vivibile l’ambiente naturale del proprio Paese.

 

D’altra parte, è pur vero che, normalmente, in uno Stato democratico le responsabilità politiche non sono monopolio di poche persone, ma coinvolgono in qualche modo - ed anche se in maniera differenziata -, la generalità dei cittadini. Ciascun cittadino, dunque, è chiamato alla partecipazione attiva ed a compiere scelte di vita moralmente coerenti, tenendo conto e valutando criticamente anche la conformità dei programmi proposti e degli indirizzi concretamente seguiti dalle forze politiche in relazione ai propri “valori” di riferimento.

 

D’altro canto, gli Stati ricchi della Terra hanno dei precisi doveri nei confronti dei Paesi più poveri e svantaggiati, infatti, nonostante i passi avanti compiuti verso la riduzione della povertà e dell’indebitamento, il divario resta talmente stridente che la questione della povertà, nell’epoca della globalizzazione, assume una dimensione immediatamente politica e di governo, in relazione alle seguenti considerazioni:

 

 

DEBITO E GLOBALIZZAZIONE

Il debito internazionale è frutto di una storia che si è determinata di fatto, in ragione di un diverso potere contrattuale fra le numerose parti in gioco. Il risultato di questa vicenda, all’interno della quale ci sono state anche gravi responsabilità, è stato un indebitamento insostenibile della quasi totalità dei paesi a basso e medio reddito, che ha costretto per molti anni i governi dei paesi indebitati a pagare per il servizio del debito, cioè per gli interessi e le rate di restituzione del capitale, cifre superiori a quelle che riuscivano a destinare per il finanziamento della spesa sociale. I dati ufficiali riportano che negli ultimi dieci anni molti paesi africani hanno pagato per il servizio del debito somme quattro o cinque volte superiori a quelle che riuscivano a destinare al finanziamento della scuola e della sanità.

 

L’iniziativa Hipc

L’iniziativa Hipc (Highly Indebted Poor Countries) – Paesi poveri altamente indebitati, nata nel 1996, è la prima forma di cancellazione di una certa consistenza concordata tra i paesi creditori e le Ifi (Istituzioni finanziarie internazionali). Per accedere all’iniziativa occorre che il debito sia considerato insostenibile secondo i parametri stabiliti dal FMI e dalla Banca mondiale, cioè che sia superiore al 150% delle esportazioni. Al determinarsi di questa situazione il paese interessato illustra ai creditori i propri impegni di politica economica e sociali, espressi nel Prsp (Poverty Reduction Strategy Paper) Programma strategico di riduzione della povertà.

Se i creditori giudicano positivamente il Prsp, promettono che cancelleranno una parte del debito alla sua realizzazione e provvedono subito, in via provvisoria, ad una sospensione di una parte consistente delle scadenze da pagare. Al termine concordato, se le politiche sociali ed economiche annunciate sono state realizzate, viene cancellata effettivamente la quota di debito promessa.

 

Il futuro e le questioni in discussione

In particolare, sul tema dell’indebitamento dei paesi poveri il futuro presenta ancora tante questioni irrisolte sulle quali bisogna esercitare una pressione che nasca dal basso e cioè dalla società civile. Di seguito alcuni punti nell’agenda internazionale di reti ed organizzazioni delle società civile nazionali ed internazionali.

��   Cancellazioni troppo lente: tempi lunghi dall’avvio dell’iniziativa all’effettiva messa in atto degli accordi con i singoli creditori bilaterali.

��   Cancellazioni insufficienti: l’iniziativa Hipc (Paesi poveri altamente indebitati) riduce, e spesso cancella interamente, il debito più antico, ma non tocca in genere quello più recente, spesso particolarmente gravoso. Si parla di “cancellazioni”, ma si tratta solo di riduzioni parziali del debito, che lasciano in essere ancora stock di debito molto forti.

��   Parametri di sostenibilità inadeguati: si ritiene che i parametri utilizzati per definire la sostenibilità o meno del debito non siano pertinenti. Misurare la sostenibilità in base alle stime sulle esportazioni limita l’ammontare di debito cancellabile ed è fuorviante. I networks internazionali della società civile propongono invece l’adozione di parametri socio-economici (per esempio gli obiettivi di sviluppo del millennio).

 

In ambito Europeo, nel novembre 2003, il Governo Chirac commissionò un “Rapporto” (che va sotto il nome di Rapporto Landau) al fine di elaborare un piano che permettesse il raggiungimento dei Millennium Development Goals, cioè dei principali obiettivi del millennio.

 

Il resoconto del rapporto sottolinea come, per raggiungere gli obiettivi del millennio, gli aiuti ufficiali dovrebbero aumentare di 50 miliardi di $ all’anno fino al 2015.

 

In particolare, le risorse finora impiegate sono troppo ristrette in quanto:

·       ogni donatore guarda necessariamente prima alle sue priorità.

·       i costi di negoziazione e transazione sono spesso troppo alti.

·       gli aiuti risultano troppo spesso inadeguati ed effettuati con forme inappropriate.

·       gli aiuti sono troppo variabili nel tempo per costituire una significativa risorsa per i Paesi in difficoltà.

 

Peraltro, nel contesto economico di quei Paesi, il problema delle oscillazioni delle risorse economiche è, per le sue implicazioni pratiche, uno dei problemi più importanti e, purtroppo, troppo spesso è assolutamente trascurato. Infatti, gli interventi nella sanità o nelle opere pubbliche di questi paesi non possono certamente essere basati su aiuti il cui quantitativo varia di volta in volta.

 

Per ovviare ai segnalati aspetti, il Rapporto Landau ha analizzato alcune significative proposte:

 

IFF (International Finance Facility)

Proposta del Governo inglese e supportata dalla Francia che prevede l’immissione di bond (obbligazioni) sul mercato finanziario internazionale, basati su un piano di aiuti pluriennale ai Paesi in via di sviluppo, che vincoli legalmente i Paesi donatori.

I ricavi dei bond vengono poi pagati attraverso quanto stabilito dal piano di aiuti pluriennali.

In tal modo il sistema è in grado di generare una risorsa stabile e sicura (il piano di aiuti vincola legalmente gli Stati), e in particolare, il fatto che nel tempo vi possano aderire altri Paesi ne fa una risorsa flessibile; inoltre, potrebbe essere un’importante risorsa aggiuntiva in grado di generare un significativo flusso di aiuti.

 

Sistema di Tassazione Internazionale

Ogni progetto di tassazione, per raggiungere gli obbiettivi, dovrà essere in grado di proporre interventi visibili, ed essere misurabile in termini di efficienza economica, equità e trasparenza.

In tal modo le tassazioni potrebbero agire come imposte Pigouviane recuperando le eventuali “esternalità negative”; inoltre, si avrebbero effetti redistributivi con tutte le difficoltà, però, di una redistribuzione a livello mondiale in cui le ineguaglianze sono forti, variabili e molto difficilmente risolvibili; l’eventuale aumento delle entrate creerebbe uno Sviluppo finanziario.

Naturalmente, non sarebbe assolutamente facile riuscire a creare una cooperazione tra tutti i Paesi su un tema caldo come quello fiscale.

La commissione Landau considera quello della tassazione lo strumento più efficace ed equo per avvicinarsi al raggiungimento degli obiettivi del millennio; inoltre, potrebbe riuscire a creare una moralizzazione dell’economia, in quanto, andando a gravare sulle azioni economiche più dannose o pericolose tenderebbe a diminuirle; e, in particolare, potrebbe essere il primo passo per la realizzazione di una Governance a livello mondiale.

Per contro, si avrebbe il rischio che, nel caso di un’applicazione inizialmente regionale, che argini le difficoltà della creazione di un sistema internazionale di tassazione, comporterebbe un forte calo della competitività della zona rispetto a quelle che non la applicano.

 

Nello specifico, il Rapporto Landau ha preso in esame varie tipologie di tasse, valutandone sempre singolarmente i punti di forza e di debolezza, nonché i principali rischi:

 

·       Tassa sulle transazioni finanziarie:

Punti di forza:

o      Comporterebbe un flusso in entrata molto ingente dato il volume di transazioni internazionali.

Punti di debolezza:

o      Costi molto alti.

Rischi:

o      Gli squilibri che potrebbe portare sul mercato.

 

·       Tassa sulle transazioni in  valuta estera:

Punti di forza:

o      Dato il volume delle transazioni in valuta estera basterebbe un’aliquota molto bassa che non creerebbe né squilibri né evasione per avere un forte flusso in entrata per questi paesi.

Punti di debolezza:

o      Non è progettabile come tassa regionale perché verrebbe arginata attraverso la delocalizzazione.

o      Non possono essere tassate le operazioni che le banche fanno in valuta estera per bilanciare la loro posizione netta: hanno costo e profitti zero nel caso venisse loro imposta una tassa creerebbero una perdita e l’operazione diventerebbe sostenibile solo da pochi gruppi.

o      Nessuna tassa neanche su particolari strumenti finanziari come swaps ed options in quanto subirebbero una doppia tassazione nello spot e nel forward.

Opportunità:

o      Valido strumento contro la speculazione finanziaria e la stabilizzazione dei cambi

 

·       Tasse ambientali:

Punti di forza:

o      Non creerebbero distorsioni anzi le eliminerebbero.

Rischi:

o      Il protocollo di Kyoto prevede già una legislazione nelle materie ambientali occorre quindi evitare doppie tassazioni.

 

·       Tasse nel settore aereo (sul kerosene, i corridoi aerei e sui biglietti):

Punti di forza:

o      Settore che crea forte inquinamento e subisce ancora la minore tassazione.

o      Settore non preso in considerazione da Kyoto.

    

·       Tasse nel settore navale (sul combustibile, lo status fisico delle imbarcazioni e sugli stretti):

Punti di forza:

o      Riduce l’inquinamento.

o      Settore non preso in considerazione da Kyoto.

Punti di debolezza:

o      Ne avrebbe un danneggiamento il commercio.

Rischi:

o      I Paesi OECD perderebbero competitività visto le già numerose norme di registrazione delle imbarcazioni molto più vincolanti e numerose di quelle degli altri Paesi.

 

·       Carbon Tax:

            Punti di forza:

o      Ridurrebbe l’effetto serra

o      Ottimi effetti redistributivi.

            Rischi:

o      Di doppia tassazione vista la già presente regolamentazione del settore con il Protocollo di Kyoto.

 

·       Tassa sulle armi:

        Punti di forza:

o      Possibile riduzione dei conflitti.

         Rischi:

o      Dovrebbe essere imposta sia a chi esporta sia a chi importa con il rischio di andare a diminuire il commercio legale di armi molto spesso indispensabile per i Paesi poveri senza influire minimante quello clandestino.

 

·       Tassa sui profitti delle grandi multinazionali: soprattutto in ragione dei vantaggi che hanno dalla globalizzazione.

 

Altre proposte:

 

·       Contributi volontari versati con carte di credito o nei conti della luce, telefono e gas.

         Punti di forza:

o      Sistema che non necessita di nessuna cooperazione tra gli Stati.

Punti di debolezza:

o      E’ un sistema che essendo basato sulla volontarietà non può comunque   essere considerata una risorsa stabile.

 

·       La creazione di una lotteria mondiale rivolta a specifici obbiettivi, es. AIDS.

 

·       Diritti Speciali Di Prelievo:

Punti di debolezza:

o                  Non introducono nessuna nuova risorsa nel sistema.

 

Nel quadro di queste dinamiche sociali e politiche ci si deve allora domandare quale sia l’orizzonte ulteriore verso il quale tendere per tenere in campo una strategia efficace di lotta alla povertà dei paesi meno sviluppati e, direi principalmente, di contrasto al sottosviluppo culturale; per realizzare il pieno rispetto e la piena attuazione dei diritti umani; per realizzare una pace mondiale stabile e duratura; per attuare la perfetta e completa uguaglianza dei diritti tra uomini e donne; per far fronte alle pressanti priorità in tema di ambiente e di risorse naturali.

 

Una cosa però è certa, la strada dell’integrazione globale e della cittadinanza mondiale non può, e non deve, passare per l’omologazione culturale, così come lo sviluppo di una “solidarietà sociale”, pur riconoscendo l’esigenza dell’altro e l’altrui bisogno, non ne deve calpestare la dignità e, principalmente, il suo desiderio interiore e la sua affermazione di diversità.

 

 

 

 

(Testo della relazione del 15/04/2007 presso il Convento dei Frati Francescani di Mergellina)